Sierra Leone - Una esperienza “forte”

Mi chiamo Sara, ho 22 anni e mi sono laureata in infermieristica lo scorso novembre. Avrei potuto iniziare a lavorare subito, invece ho deciso di partire e andare in Africa, con l’idea di fare un’esperienza diversa e di poter mettere in pratica quello che ho studiato.
Mi sono ritrovata quindi nella capitale, Freetown, ospite di Don Maurizio, prete facente parte della congregazione dei Giuseppini del Murialdo. In Sierra Leone la congregazione ha fondato scuole primarie, secondarie e professionali; ospedali; orfanotrofi, nati all’epoca della guerra civile per aiutare i bambini amputati, rimasti orfani o bambini soldato (1991-2002), ora accoglie per lo più ragazzi rimasti soli a causa dell’ebola (2014-2016) e un progetto di adozioni a distanza.

L’Africa non è stata facile. Mi trovavo lontano da tutto, o quasi, ciò che conoscevo, dalle mie comodità: non avevo sempre internet, spesso mancavano luce e acqua, mi dovevo lavare i denti con le bottigliette di acqua comprate al supermercato perché non potevo usare l’acqua dei rubinetti… La Sierra Leone è immondizia lungo tutte le strade, è confusione, è bugie e furti per la necessità di sopravvivere. È come la immaginiamo: povera, con i bambini e le ragazzine che vendono acqua ai lati della strada per racimolare un po' di soldi e spesso neanche ce la fanno; o ragazze incinte senza una casa, senza lavoro e senza soldi che non sanno dove andare, perché la loro famiglia le ha abbandonate non potendo badare a loro. 
Ma la Sierra Leone non è solo questo, è soprattutto musica, balli e canti, è la gioia dei bambini che hanno la possibilità di andare a scuola vestiti ognuno con la propria divisa colorata (che una volta tornati a casa, ogni pomeriggio lavano e stirano per il giorno dopo); è la sorpresa dei bambini che ti sorridono con tutti i denti vedendoti per strada; è la cordialità delle persone.
Ho passato le prime quattro settimane in questa comunità abitata oltre che da Don Maurizio da altri 4 confratelli. Ho vissuto con loro, mangiato e pregato con loro. Ho vissuto la vita della comunità, una comunità aperta a tutti che ogni giorno vede arrivare un numero enorme di persone, chi a salutare, chi a chiedere aiuto, chi a dare una mano. Ho visto ragazze amputate, reduci della guerra civile, ormai divenute grandi, che hanno studiato e hanno un proprio lavoro e una propria famiglia. In questa comunità ho assistito a dei momenti di difficoltà: ricordo di una ragazza completamente sola con due figli piccoli, senza lavoro e abbandonata da tutti, arrivare per chiedere un aiuto; le abbiamo donato dei vestiti e un po' di soldi. Ma in questa comunità ho vissuto anche dei bei momenti di gioia come quando è arrivato il container con le donazioni e tutti insieme abbiamo lavorato per svuotarlo e sistemare ciò che conteneva. Ho contribuito a dispensare cibo e vestiti per chi ne aveva più bisogno.
Successivamente, per due settimane, invece ho potuto conoscere un’equipe di professionisti sanitari italiani (un chirurgo generale, un urologo, un’anestesista e un’infermiera) venuti dalla Casa di Cura Giovanni XXIII di Monastier (TV) per operare gratis nell’ospedale Love Bridges di Lokomasama, gestito da Padre Ignazio, un altro missionario italiano. Questi mi hanno coinvolto e ho potuto dar loro una mano in sala operatoria. I pazienti che arrivavano da tutta la Sierra Leone ogni giorno erano tantissimi. Potevano ricevere visite e operazioni gratis, quando in questo Paese nulla è gratis e molto spesso le persone non riescono a pagare per la propria sanità. Arrivavano con la propria famiglia la quale rimaneva a loro fianco e si mettevano a cucinare il riso fuori dal reparto. La gioia nei loro occhi ogni volta che ti vedevano era sorprendente!
Questa esperienza non è stata per niente facile, ma sono contenta di averla fatta. Mi sono resa conto davvero di quanto siamo fortunati, di quante cose possiamo avere e a volte con quanta facilità possiamo ottenerle. Mi sono resa conto anche di quanto è bello mettersi a disposizione degli altri e donare quello che possiamo a chi ne ha più bisogno, gli occhi e i sorrisi di quelle persone è ciò che ripaga di più. Ogni tanto ho cucinato insieme alle ragazze dell’orfanatrofio dei dolci semplici, cosa che per loro è stata una novità, perché non hanno la possibilità di mangiare i dolci: mi sono resa conto dell’importanza e la bellezza delle piccole cose!

Sara


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