Nella Pasqua la certezza che l’umano può rigenerarsi

Da più parti, nella società e nella chiesa, viene la domanda  di un necessario rinnovamento, anzi, di cambiamento di prospettiva, la cui risposta non può essere affatto una sorta di ritocco di facciata. E’ l’umano che chiede di essere ricompreso.

Segni allarmanti  sono i comportamenti di autolesionismo giovanile  nei confronti del proprio corpo o di aggressione e di violenza nei confronti degli altri, di intolleranza  e di mancanza di rispetto nei confronti di coloro che non la pensano come noi o la cui ricerca di un’identità personale non coincide con i nostri punti di vista; e non da ultimo la fatica di realizzare e alimentare relazioni solide e coerenti, soprattutto nell’amore. Sembra che sia sempre più marcata la tendenza a ritirarsi nel proprio mondo, in una sorta di evitamento di ogni scelta, o anche di singola azione, che comporti coinvolgimento nella vita dell’altro e degli altri. Perfino l’autentica intimità nell’amore sembra venir meno.

Purtroppo nel dare una risposta alla domanda ineludibile sull’essere umano non ci aiuta una cultura che sembra sempre più centrata sulla logica dell’individualismo, dell’efficientismo e del merito, che ostacola ogni presa di coscienza che l’umano, anche e ancor più nella sua fragilità, è in relazione necessaria con l’altro e con la stessa terra che insieme abitiamo. Non abbiamo ancora abbastanza compreso, nonostante i segnali allarmanti che ci vengono dalla stessa terra e dal clima, che impostare la vita sull’egocentrismo vuol dire approdare, prima o dopo, poco o tanto, a comportamenti lesivi della propria e altrui esistenza.

Piuttosto di riconoscere la sana e la logica dipendenza degli uni dagli altri, consapevolmente scelta come prassi rivolta alla condivisione nell’amore e nella solidarietà, accettiamo, in maniera acritica, di dipendere dalle leggi del mercato e del consumo. E non dovremmo, forse, renderci conto di quanto sia alienante e spersonalizzante, perfino motivo di angoscia,  far dipendere la nostra persona dalle cose, dall’avere, dal successo, dalle aspettative di altri, comprese quelle che sono alimentate, anche in buona fede, da coloro ai quali siamo affettivamente legati? Perché curare ossessivamente la propria immagine per poter contare su un riconoscimento solo esteriore, fino al punto di compromettere la nostra libertà e la  nostra dignità? C’è una via d’uscita da questa situazione? E’ possibile “un esodo” da questa sorta di “schiavitù passivamente accettata” pur di non sentirci tagliati fuori, privati del superficiale riconoscimento altrui? 

La pasqua viene a dirci che è possibile uscirne nella misura in cui l’umano ritrova se stesso e persegue la via della rigenerazione nel riconoscersi e nel lasciarsi coinvolgere da colui che è davvero l’Uomo nuovo, l’Ecce homo, che Pilato mostrava a una folla smemorata e istigata dal potere che, in fretta, aveva dimenticato come lui, l’Uomo che stava per essere condotto alla croce, avesse mostrato, con la parola e con il prendersi cura degli umani, soprattutto dei più fragili e lasciati da parte, la strada della vita: la strada dell’amore. Colui che, in quel momento, sembrava in balia degli altri, schiavo degli istinti disumani dei torturatori e di un potere che rinunciava a difendere l’uomo giusto e innocente, era e rimane l’uomo più libero e capace di rendere liberi.

Per Pilato e la folla quell’uomo era là come un condannato ma in realtà era là come dono di salvezza, giunto all’ora, nella fedeltà al Padre, del compiersi pienamente del suo amore per l’ umanità.  Mostrava e continua a mostrare e a rendere possibile, facendoci partecipi della sua vittoria sul male e sulla stessa morte - questo è infatti il senso del battesimo cristiano, nostra prima pasqua – che la nostra vita è pienamente vissuta quando risponde alla chiamata di Dio e degli altri a uscire dal nostro io, a diventare dono con e per gli altri.

Nel riconoscersi amata e nell’amare, la persona ritrova se stessa; conserva e custodisce la sua originale unicità, non nella solitudine dell’io, ma nella comunione fraterna che diventa così il luogo umano del riconoscimento e della valorizzazione delle differenze. Da questa consapevolezza può prendere un sicuro avvio il rinnovamento al quale aspiriamo, quale antidoto a ciò che può rappresentare un degrado dell’umano, sapendo valorizzare, con saggezza, le nuove possibilità che scienza e tecnica mettono nelle nostre mani a favore di tutti. 

Non è affatto difficile intuire che a questa responsabilità siamo chiamati tutti, giovani e meno giovani. A nessuno, a cominciare da chi è giovanissimo a chi è nell’età avanzata, può essere fatto sconto di questa responsabilità in relazione all’età, ai propri compiti e alle proprie capacità. Di sicuro a questa chiamata di responsabilità non possono non rispondere tutti coloro che hanno un particolare compito nell’educazione e nella formazione morale, spirituale e culturale delle nuove generazioni. E’ tempo, non più rinviabile, di un rinnovato patto educativo tra famiglie e comunità.

Don Giovanni


Stampa   Email