Un credere giovane alla prova del coronavirus - Dialogo tra un adolescente e il suo parroco

 

Dal Libretto di Pasqua 2020

L'Italia, in questo inizio di 2020, si trova a fronteggiare un virus che sta stravolgendo le vite di tutti noi. Purtroppo il sistema sanitario Italiano, provato da questa grande emergenza, non riesce a garantire la sopravvivenza a tutte le persone che contraggono la malattia, le quali si trovano a dover affrontare da sole, per evitare di contagiare amici e parenti, una morte lunga e dolorosa.

Essere un ragazzo che si trova in mezzo a questo clima di negatività generale, è un’esperienza senza precedenti. Ora più che mai la morte appare, immagino non solo a me, come qualcosa di estremamente vicino, che rischia, più di uccidere me in prima persona, di togliermi la compagnia di parenti e amici, soprattutto quelli più anziani, che lascerebbero un vuoto incolmabile nella mia vita. Questa vicinanza alla morte mi ha portato a riflettere sulla caducità della vita, e come sia difficile dare un senso ad essa.

Mi risulta infatti impossibile credere che la vita consista unicamente in un susseguirsi di giorni apparentemente privi di alcun significato in attesa di un evento estraneo alla nostra forza di volontà che ci cancelli dalla faccia della terra e dai ricordi delle persone. La fede, per me, giustifica proprio questo: essa ha come scopo primario quello di dare un senso all’esistenza umana, con la promessa di far parte di un progetto più grande di noi e della nostra capacità di comprendere la realtà.

Non mi sento di dare una risposta al costante interrogativo che mi assale sulla veridicità o meno delle affermazioni che il Cristianesimo supporta, sebbene ora sia così stimolato a rispondervi, vista la realtà in cui sto vivendo, ma credo che la religione, per tutto ciò che ho affermato, possa non dare la speranza di una cura veloce per questo virus, ma piuttosto confortare le persone che c’è un senso per tutto quello che stanno vivendo, perché se non ci dovesse essere alcuno scopo, qualunque esso sia, per questo, ritengo che o il dio che le sta causando è un dio estremamente crudele, o non esiste alcuna entità soprannaturale che regola il corso degli eventi, e l’unico capace di decidere della mia sorte sono io.

Sono consapevole che le affermazioni che ho fatto possono apparire dubbie e quasi certamente errate (e probabilmente lo sono), ma il mio modo di vivere la fede è questo: cercare di metterla sempre alla prova con domande sempre più controverse, rendendola qualcosa su cui lavoro costantemente, superando tutti gli ostacoli che la vita può presentarmi, e poter dire, ultimamente, di credere veramente in Dio.

M.


Caro M., non potevi trovare parole più efficaci per descrivere il clima di negatività nel quale ci troviamo a vivere in questi giorni. Davvero le domande che vengono alla mente sono quelle che più ci mettono in questione come uomini e come credenti. La mia breve riflessione non vuole essere una risposta ma piuttosto un continuare la tua. Di certo, affetti, sentimenti, la fede, ma anche la nostra stessa razionalità, sembrano avvolti dalla confusione.

Abbiamo bisogno della scienza per trovare la medicina per la guarigione. Ma la scienza, pur preziosa, non ci basta. C’è un senso, come tu stesso affermi, che vorremmo dare alle nostre esperienze di vita tanto più quando sono cariche di fatica, di preoccupazione e di sofferenza.

La domanda di un senso da dare alla vita non è meno “razionale” della ricerca scientifica anche se percorre strade diverse. Ma la domanda di fondo che emerge riguarda Dio e la sua presenza nella nostra storia. Il pensiero dei filosofi ha percorso molteplici strade e ha cercato risposte diverse. Vorrei condividere con te il bisogno di ripensare Dio liberandoci da certe immagini, come ad esempio quella di un Dio che giudica o che è estraneo alla nostra vita, per riconoscerlo in Gesù Cristo. Sì, in Gesù Cristo, soprattutto in questi giorni della settimana Santa e della Pasqua. Il Dio di Gesù Cristo è un Dio che soffre con l’uomo e per l’uomo al fine di liberarlo dal male che lo minaccia senza però sottrarlo alla propria libertà e responsabilità.  Gesù stesso, proprio nei giorni della sua passione e risurrezione, è il testimone del credere in Dio, dell’affidarsi al Padre suo e nostro.

Questo affidarsi a lui, come ho già ricordato, e come tu stesso affermi, non ci esonera dal fare le nostre scelte, soprattutto oggi, diventati ancora più consapevoli che non ci è più lecito abitare la nostra terra pensando solo a se stessi. La solidarietà che Gesù Cristo ha realizzato con noi deve diventare la forma anche della solidarietà tra di noi affinché la terra che abitiamo sia davvero la terra di tutti e della quale tutti, per il bene degli uni e degli altri, dobbiamo prenderci cura, anzi guarirla.

Caro M., pensando ai nostri campi scuola, vorrei servirmi dell’esperienza delle escursioni, quelle più lunghe e faticose. Ci servono, forse anche per capire l’esperienza della fede. A volte l’escursione ci porta a salire per ripidi sentieri, a volte ci sorprende il temporale, spesso la fatica ci porta a chiederci se valeva la pena mettersi in cammino, ma alla fine c’è la gioia della vetta o della meta raggiunta. Nel nostro cammino come credenti ci sono momenti forti e a volte faticosi, momenti di serenità e di dubbio, ma con noi cammina Gesù Cristo. Lui è vivo, e oggi come allora ai suoi discepoli, ci ricorda: Abbiate coraggio: Io ho vinto il mondo (Gv. 16,33). E ancora: Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv. 10,10).

d. Giovanni

 


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