Non serve contarci

se non ripartiamo da dove è tutto cominciato...
 Ogni giorno dovremmo ripartire da dove tutto è cominciato: dalla Pasqua di Gesù Cristo. Come comunità cristiana in questi ultimi tempi ci siamo contati tante volte. Non sono mancate, e non mancano, le statistiche sulla frequentazione dei cristiani alle pratiche religiose, in particolare, all’eucarestia domenicale, sulla capacità di interessare i giovani alla proposta cristiana. Ai dati si aggiungono, ovviamente, la ricerca della cause sulla disaffezione alla vita della Chiesa e delle  comunità parrocchiali e non mancano i suggerimenti per migliorare le cose. Di sicuro, le proposte di sinodi  (letteralmente: camminare insieme), a livello diocesano, nazionale e di tutta la chiesa, rappresentano il proposito di mettersi in ascolto gli uni degli altri, la volontà di capire ciò che l’attuale cambiamento epocale chiede alla Chiesa e ai credenti, l’impegno comunitario nel saper leggere i segni dei tempi. E’, infatti,  più che mai attuale,  e chiede una rinnovata attenzione all’ascolto,  ciò che veniva ben espresso nel proemio dell’ultimo documento del Vaticano II: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.

Due drammatici eventi rendono ancora più necessaria la nostra riflessione personale e comunitaria e interrogano la nostra coscienza: l’esperienza di Chiesa  durante la pandemia, ma non solo, e in particolare in questi giorni, la tragedia di una guerra che non può non mettere in crisi la coscienza di tutti e dei cristiani in particolare. Allora, più che soffermarci sul contarci come cristiani praticanti o meno, è urgente, oltre che attuale, chiederci con tutta franchezza, in particolare nei giorni della solenne memoria della Pasqua di Gesù Cristo, fino a che punto siamo consapevoli che la nostra partecipazione  e la nostra presenza nella società e nel mondo scaturiscono dall’evento fontale (che ne è fonte, origine, causa, ragione...) della passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, compimento della sua parola e della sua missione tra gli uomini e annuncio di una nuova possibilità di vita. In questo annuncio e dono di vita trova piena e realistica risposta la domanda sempre più insistente di relazioni davvero fraterne tra di noi(*) e la ricerca necessaria della pace. Non si vuole affatto mettere in dubbio la sincerità della domanda, ma sembra non esserci, però, altrettanta disponibilità a cercare la risposta  là dove ci è dato di trovarla. Il dove per i cristiani è un dono che parla di amore senza misura e di una fraternità senza confini. Dobbiamo dircelo con franchezza: è la Pasqua di Cristo che nel nostro battesimo è diventata anche la nostra pasqua. 

 Come renderci allora responsabili di questa possibilità, sempre nuova, che ci è donata di vivere nell’amore e nella fraternità, per fare la nostra parte affinché tutta la realtà, il creato e gli umani, torni ad essere bella e buona, anzi molto bella e buona (cf Gn 1,31) come già è stata portata a compimento, come promessa per tutti noi, nell’ Uomo nuovo, il Cristo risorto?
 Una prima risposta sta nell’ impegnarci a essere tutti, e per primi, promotori di relazioni autentiche e fraterne e non aspettarci che siano gli altri a cominciare per primi. Dovremo, in altre parole, passare dal denunciarne la mancanza nella vita della comunità, a esserne protagonisti in prima persona. In particolare, nei momenti di frustrazione o di delusione, dovremo ri-centrare la nostra partecipazione nell’evento pasquale, ragione della nostra fraternità, e ritornare a meditare le  parole  del Risorto a Maria Maddalena: “Va’ a dirlo ai miei fratelli” (cf Gv 20,17). Non dicono  forse che l’evento pasquale, la possibilità nuova di vita che ci dona il Risorto, manifesta la sua efficacia ed è testimoniata là dove si vive come fratelli e sorelle?

 Come non fare, allora, della fraternità stessa il progetto di vita che ispira le scelte educative della comunità e delle famiglie? Come non riconoscere che per chi è giovane, ma non solo, immerso in un contesto sempre più saturo di connessioni, soltanto uno stile di vita fraterno rimane il luogo, primo e indispensabile, del rispetto reciproco, dell’ ascolto, del dialogo e della condivisione solidale? E di una fede credibile? Non è forse questo lo stile di vita capace di contrastare l’individualismo e l’indifferenza, prendendo coscienza che l’ essere estranei alla vita degli altri è negare che la vita stessa, la nostra,  fin dal suo inizio, è debitrice della relazione con gli altri? Negarci al noi è autocondannarci alla solitudine e alla sterilità di una vita senza amore. La Pasqua di Cristo continua ad essere l’attestazione della verità dell’umano: l’amore.

Se il nostro amore conosce fragilità, contraddizioni e fraintendimenti, l’amore che si rivela a Pasqua, è Amore gratuito, dono, grazia... per sempre.

d. giovanni
 


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